Casa Florio all'Olivuzza
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Quella dell’Olivuzza è la casa della famiglia Florio. Li ha visti nascere, splendere e morire. Si è fatta bella per accogliere i suoi ospiti e testimoniare la nostra potenza e il nostro prestigio. Vi entrai poco dopo essere tornata dal viaggio di nozze, non appena fu pronta per accogliere me e Ignazio, come vi dicevo. Ammiriate l’elegante facciata in stile neogotico veneziano con i suoi decori che sembrano ricami, i rosoni e i bow-window che creano un movimento verticale in armonia con quello orizzontale della merlatura. Dietro di essa si intravede la loggia in ghisa che (naturalmente) è stata forgiata nella nostra fonderia, l’Oretea. Quel palazzo immenso nasceva dall’unione della villa Butera e della proprietà del duca di Serradifalco acquistate da mio suocero circa trent’anni prima del mio ingresso. Era circondato da un parco alberato con un lago per i cigni, piante esotiche, voliere e gabbie per animali.

L’Olivuzza ai tempi era una grande area verde dove le famiglie facoltose palermitane vi avevano costruito le proprie case di villeggiatura. Persino il nonno di mio marito vi aveva trascorso le estati, in una villetta presa in affitto nel vicino quartiere della Noce.

Quando vi entrai quella casa enorme e lugubre mi faceva paura. Mi sentivo un’ospite perché non ero abituata ad essere attorniata da tanti servitori. Ma non appena fui consapevole del mio ruolo, cominciai a comportarmi da padrona.

Nella parte più antica del palazzo si trovavano le stanze di mia suocera. Da qui partì l’incendio il 9 febbraio del 1908. A causa di un camino mal funzionante, si disse. L’altra ala, più moderna, arredata con i mobili di Ducrot, era riservata a me ed Ignazio. C’era la mia stanza: i puttini di Salvatore Gregorietti lanciavano dall’alto petali di rosa che si spargevano sul tappeto maiolicato disegnato da Filippo Palizzi e realizzato da Francesco Nagar. I saloni erano stati arredati da mia suocera con mobili e ceramiche pregiate, tappeti persiani, argenti, cristalli e quadri di artisti siciliani antichi e moderni. Regnavano il buon gusto e la raffinatezza. Tanta opulenza aveva incantato gli esponenti della nobiltà locale e le teste coronate che più di una volta ci hanno onorato della loro visita. D’altra parte era destino se pensiamo che villa Butera aveva ospitato gli Zar nel 1845!

Mi fa male venire qui: non solo per i tristi ricordi ad essa legati, ma anche perché mi rammenta che tutto è stato lottizzato. Il parco dove giocavano i miei bambini, dove sono stati organizzati tea e green party non c’è più.

Il palazzo è stato diviso tra diversi proprietari: i Wirz; la sede dell’ordine degli Architetti dove si conservano alcune delle nostre stanze, tra cui il suntuoso salone da ballo e la galleria che si affaccia su una terrazza interna; i Basile – Maniscalco e Girolamo Settimo, principe di Fitalia. Egli lo acquistò negli anni Venti e nel ’29 lo donò alla Curia che ne fece la sede della congregazione delle figlie di San Giuseppe. Dal 2014 è in affitto al circolo Unione. A loro è andata la porzione con la mia camera da letto dove mi reco quando voglio spruzzarmi un po’ del mio profumo, La Marascialla, distillato appositamente per me dall’officina profumo-farmaceutica di Santa Maria Novella. Al circolo appartengono anche saloni con i soffitti decorati e alcuni arredi lignei della Ducrot progettati da Basile.

Tutto questo è avvenuto non appena il nostro impero è crollato: questa è la gratitudine di Palermo per chi ha portato lavoro, lustro e benessere. Per chi come noi l’ha trasformata in una capitale europea!

 

Testi e voce narrante di Conny Catalano

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Un progetto di partecipazione collettiva alla valorizzazione dei beni culturali siciliani coordinato da Elisa Bonacini.

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