Cimitero Inglese
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Libro IV, II

Maria lascia Roma. Al cimitero inglese a deporre fiori sulla tomba di Shelley "ella non andava soltanto a portar fiori sul sepolcro d’un poeta ma a piangere, in quel luogo di morte, qualche cosa di sé, irreparabilmente perduta". 

Il cimitero era solitario. [...] Dalla cupa mole dei cipressi scendevano un’ombra misteriosa e una pace religiosa e quasi una dolcezza umana, come dal duro sasso scende un’acqua limpida e benefica. Quella regolarità costante delle forme arboree e quel candor modesto del marmo sepolcrale davano all’anima un senso di riposo grave e soave.  I rosai si sfogliavano ad ogni fiato di vento, spargendo su l’erba la loro neve odorante; gli eucalipti inchinavano le pallide capellature che or sì or no parevano argentee [...]. E il silenzio era interrotto a quando a quando dal grido di qualche uccello disperso. Andrea disse, indicando il sommo dell’altura: – Il sepolcro del poeta è lassù, in vicinanza di quella rovina, a sinistra, sotto l’ultimo torrione. – Maria si sciolse da lui, per salire su pei sentieri angusti, tra le siepi basse di mirto. Ella andava innanzi, e l’amante la seguiva. Ella aveva il passo un poco stanco; si soffermava ad ogni tratto; ad ogni tratto si volgeva indietro per sorridere all’amante. Era vestita di nero; portava un velo nero sul viso, che le giungeva fino al labbro superiore; e il suo mento ovale era più bianco e più puro delle rose ch’ella portava in mano. [...] Giunsero, tra le siepi basse di mirto, fino all’ultimo torrione a sinistra dov’è il sepolcro del poeta. Il gelsomino, che s’arrampica per l’antica rovina, era fiorito; ma delle viole non rimaneva che la folta verdura. Le cime dei cipressi giungevano alla linea dello sguardo e tremolavano illuminate più vivamente dall’estremo rossor del sole che tramontava dietro la nera croce del Monte Testaccio. Una nuvola violacea, orlata d’oro ardente, navigava in alto verso l’Aventino. [...] Maria disse ad Andrea, mossa da un pensier delicato: – Scioglimi il velo. – E gli si appressò arrovesciando un poco il capo perché egli le sciogliesse il nodo su la nuca. Le dita di lui le toccavano i capelli, i meravigliosi capelli che, quando erano sparsi, parevano vivere come una foresta, di una vita profonda e dolce; all’ombra de’ quali egli aveva tante volte assaporata la voluttà de’ suoi inganni e tante volte evocata un’imagine perfida. Ella disse: – Grazie. E si tolse il velo di su la faccia, guardando Andrea con occhi un poco abbagliati. Ella appariva molto bella. Il cerchio intorno le occhiaje era più cupo e più cavo, ma le pupille brillavano d’un fuoco più penetrante. Le ciocche dense de’ capelli aderivano alle tempie, come ciocche di giacinti bruni, un po’ violetti. Il mezzo della fronte, scoperto, libero, splendeva [p. 439 modifica]nel contrasto, d’un candor quasi lunare. Tutti i lineamenti s’erano affinati, avevano perduto qualche parte della loro materialità, alla fiamma assidua dell’amore e del dolore. Ella avvolse al velo nero gli steli delle rose, annodò le estremità con molta cura; poi aspirò il profumo, quasi affondando il viso nel fascio. E poi depose il fascio su la semplice pietra ov’era inciso il nome del poeta. E il suo gesto ebbe una indefinibile espressione, che Andrea non potè comprendere. [...] –  Come le hai avute, quelle rose?– Ella gli sorrise ancora, ma con gli occhi umidi. –  Sono le tue, quelle della notte di neve, rifiorite stanotte. Non ci credi? Si levava il vento della sera; e il cielo, dietro la collina, era tutto d’un color diffuso d’oro in mezzo a cui la nuvola discioglievasi come consunta da un rogo. I cipressi in ordine, su quel campo di luce, erano più grandiosi e più mistici, tutti penetrati di raggi e vibranti nei culmini acuti. La statua di Psiche in cima al viale medio aveva assunto un pallore di carne. Gli oleandri sorgevano in fondo come mobili cupole di porpora. Su la piramide di Cestio saliva la luna crescente, per un ciel glauco e profondo come l’acqua d’un golfo in quiete. Essi discesero, lungo il viale medio, fino al cancello. [..] Maria si strinse al braccio dell’amante, non reggendo più all’angoscia, sentendosi ad ogni passo mancare il suolo, credendo di lasciare su la via tutto il suo sangue. E, appena fu nella carrozza, ruppe in lacrime disperate, singhiozzando su la spalla dell’amante: – Io muoio. Ma ella non moriva. E sarebbe stato meglio, per lei, s’ella fosse morta.

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