Convento di San Francesco alla Collina
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Il convento di San Francesco alla Collina, secondo alcuni studiosi, come Gaetano Savasta, fu adibito a convento nel 1114 dal re Ruggero II come regia cappella intitolata a S. Giorgio e sarebbe pertanto un edificio normanno.
Ma altri studiosi, tra cui Paolo Orsi, ne attribuiscono l’origine al 1300.
Pare che all’interno di questo edificio vennero deposti i simulacri di Federico III d’Aragona; il fatto spiegherebbe così l’affetto della regina Eleonora d’Aragona per questo luogo dopo la morte del marito, avvenuta nel giugno del 1337. Fu proprio lei a disporre, nel 1345, la donazione del luogo sacro ai Francescani, che vi rimasero per oltre 500 anni fino al 1873 , quando vennero trasferiti nella piccola chiesa del SS. Salvatore.  
La chiesa fu l’unico edificio della collina storica di Paternò a subire gravi danni durante il terremoto  del 1693, che rase al suolo le città del Val di Noto.
La chiesa, insieme con il monastero, fu restaurata subito dopo il terremoto e questo vi spiega la presenza di alcune decorazioni barocche come i medaglioni di stucco. Fu quindi riconsegnata ai francescani che ne ebbero cura fino al loro trasferimento.
Successivamente venne adibita a cappella funebre della famiglia del barone Gioacchino Cara Zucchero che, agli inizi del 1900 e a causa del crollo del soffitto, ne fece un infruttuoso restauro.

Tutte le vicissitudini dei secoli subite dal Convento ne hanno cancellato gran parte dei caratteri originari.
Potrete riconoscere i caratteri della tipica architettura francescana con la sua austerità nel grigio paramento murario, nei grandi finestroni, nella definizione geometrica del chiostro interno, nella severità della composizione, nella pianta rettangolare della chiesa.
Le caratteristiche medievali dell’edificio sono accentuate soprattutto dalla tessitura muraria, di pietra viva con spessi impasti di malta, e dall’elementare impianto strutturale.

Come potrete notare, l'unico elemento decorativo di rilievo è costituito dall'alternanza dei due colori, il bianco dei conci calcarei e il nero dei blocchi in pietra laviche, negli archivolti della porta d’ingresso e nelle cornici delle finestrelle ad arco acuto.

Di tutto il complesso, la chiesa è la parte che si è meglio conservata, grazie ad un restauro del 1984-1985. La sua pianta è tipicamente francescana, ad unica navata e si allunga fino al piccolo santuario quadrato, disposto ad oriente, delimitato da un arco ogivale a conci bianchi e neri, che preannuncia l’armoniosa volta a crociera sostenuta da costoloni in pietra lavica. Gli affreschi originari che, alla maniera francescana, rivestivano le pareti con raffigurazioni sacre e immagini di santi, sono state nascosti da spessi strati di intonaco, ma ne potete riconoscere alcuni lembi nelle pareti ai lati del presbiterio.
Ma le composizioni che, invece, si articolano sui paramenti murari, disegnando sulle pareti una serie di portalini ciechi, costituiscono un importante esempio di decorazione rocaille che documenta gli interventi del Seicento.
Da una porta alla destra del presbiterio è possibile accedere al corpo di fabbrica a L, costituito dall’edificio del convento. Qui la struttura si sviluppa attorno ad un cortile interno chiuso, con al centro una cisterna per la raccolta dell’acqua, che appare come un rudimentale chiostro. Attraverso un falso portale gotico si entra in un vestibolo, ai due lati del quale si trova il corpo di fabbrica esteso longitudinalmente,  costituito dal convento con i locali collettivi. A destra si trovano i locali maggiori, tra cui il refettorio, le cucine, l’aula capitolare e il diaconico. A sinistra invece i locali minori, i magazzini, le stalle e le officine, interconnessi fra loro da grandi archi ogivali.
A causa delle profonde lacune strutturali e dello stato dell’immobile non è stato possibile ricostruire gli ambienti del piano superiore, ma sicuramente destinati a dormitorio dei religiosi.




Questa scheda è stata redatta da Sefora Virgillito, Giuseppe Russo, Gabriele Leonardi (3BT) e la voce narrante è di Giuseppe Russo.

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