L’eremo Madonna degli Ulivi, nota anche come Madonna della Neve o Santa Maria ad Nives, è arroccato dietro la Basilica di San Biagio tra la cima del monte del Santo e la roccia della Suda, a 552 m d’altezza. Da qui è possibile ammirare l’incontro tra mare e monti, in particolare il Golfo di Policastro ai piedi del Monte Cerreta (1083 m), e continuando sulla destra il Monte Coccovello (1505 m) e il Monte Crivo (1277 m) che abbracciano la valle di Maratea.
La storia dell’eremo affonda le sue radici nell’alto medioevo, ma, nel catino absidale, durante i lavori di restauro sono venuti alla luce affreschi risalenti al XIV-XV sec. E’ noto che quando i seguaci di S. Basilio il Grande fuggirono dalla loro terra di origine, a partire dal VI sec d.C., si rifugiassero in una area che comprendeva una parte del Cilento meridionale, Maratea, l’entroterra lucano e la parte nord della costa calabra. Inoltre, data l’ubicazione strategica del romitorio, esso si configurava probabilmente come un luogo di sosta per i religiosi che percorrevano la strada che passava proprio dove è situata la Madonna degli Ulivi. Questo percorso era il tracciato più importante dell’epoca perché collegava Castrocucco, dove era situato il porto di Blanda, al passo della Colla, rappresentando così una delle direttrici di penetrazione dalla costa verso l’entroterra. Ma per il romitorio non transitavano solo i viandanti provenienti dalla costa di Castrocucco: un altro importante sentiero partiva dalla costa a ridosso dell’isola di Santo Janni.
La costruzione, rettangolare e a navata unica, non si riduce a una chiesa, ma ad essa sono annessi spazi ad uso abitativo e a magazzino, prefigurandosi come unità autonoma e ad uso polifunzionale. L’altare maggiore è ricavato da una radice d’ulivo, dal quale deriva il nome della chiesa. Dietro l’altare, all’interno dell’abside, è posta la statua lignea della Madonna degli Ulivi. Nel catino absidale è presente un affresco raffigurante un “Cristo in trono benedicente” o “Cristo Pantocratore”, purtroppo acefalo, con ai piedi delle iscrizioni in greco. Nelle nicchie laterali troviamo una “Madonna con Bambino” e una figura di santa, probabilmente Santa Caterina d’Alessandria. Sulla parete di sinistra è ben conservato un altro affresco di “Madonna con Bambino”. La rappresentazione di Santa Caterina d’Alessandria è motivata dal suo ruolo di protettrice dell’antica frazione di Maratea in cui si trova la chiesa. La Santa è rappresentata con la corona in testa e vestita di abiti regali per sottolineare la sua origine principesca. Nell’iconografia tradizionale l’immagine della Santa è raffigurata con una palma in mano, simbolo di martirio, ed il libro che ricorda la sua sapienza e la sua funzione di protettrice degli studi e dell’insegnamento. Il Cristo Pantocratore è la denominazione tipica data a Gesù dalla tradizione orientale, cioè “colui che sostiene in sé tutte le cose”. Nell’iconografia bizantina il Cristo è raffigurato con un busto monumentale, lo sguardo profondo e dolce e il collo rigonfio, segno dello Spirito Santo che riposa nel Verbo. Anche a Maratea l’icona di Cristo visto come il “sovrano e giudice celeste”, stringe nella mano sinistra il Vangelo. Oltre alla zona del presbiterio, anche il resto dell’interno doveva essere affrescato ma si conservano solo poche tracce di colore. Concludendo l’analisi delle opere artistiche della chiesa possiamo ricordare la presenza di un quadro oggi purtroppo perduto. Alcuni documenti ne attestano la presenza fino alla metà del XIX sec. Rappresentava “i Banditi perseguitati dà Marateoti: S. Blasè che li metteva in fuga; e la vergine SS.ma che da sopra le nuvole Maratea proteggeva”.