Nel canto ventitreesimo dell’inferno Dante si trova nell’ottavo cerchio, in una bolgia molto ristretta. In questo canto sono condannati gli ipocriti, che avanzano lentamente coperti da pesanti mantelli ricoperti d’oro nella parte esterna ma in realtà costituiti al loro interno da pesantissimo piombo. Secondo la legge del contrappasso infatti, questi dannati, in vita, nascosero la malvagità e l’ipocrisia sotto l’apparenza della bontà. In questi versi Dante risponde a due di loro che, incuriositi dal fatto che lui sia vivo, gli chiedono di presentarsi. Si tratta di Catalano e Loderingo, due frati godenti che furono podestà a Firenze dopo il 1266 e strumento della politica papale contro i Ghibellini.
In questi versi Dante risponde loro con orgoglio facendo riferimento alla «grande» città in cui è nato e cresciuto e al «bel» fiume Arno che la rappresenta. Dante sarà purtroppo costretto ad abbandonare Firenze a seguito delle lotte tra le due fazioni, guelfi e ghibellini. Nel 1302 infatti, Carlo di Valois, alleato del papa, mise al rogo e processò tutti i guelfi bianchi, processo subito anche dal poeta stesso. La vittoria finale della fazione dei guelfi neri e del papa sconvolse la vita di Dante mutando profondamente le sue sorti, dato che fu costretto all’esilio fino a morire a Ravenna, dove riposano ancora oggi le sue spoglie.
La lapide, dedicata alla nascita di Dante vicino al fiume Arno, sottolinea con evidenza proprio il forte legame tra il poeta e la sua città natale ed è stata posta sulla via omonima, vicino alla sua casa.