Dopo le grandi cattedrali, questo è il monumento più complesso costruito in Sicilia in epoca medievale: in essa vive il sincretismo architettonico e religioso delle arti bizantina,araba e normanna. Risale al XII secolo, come si legge dal diploma di donazione di Ruggero II a favore del monastero dell’abate Gerasimo. Il diploma narra che nel 1116, durante una sosta presso Sant'Alessio Siculo, al re venne incontro l’abate Gerasimo che lo pregò di concedergli licenza e mezzi per ricostruire il monastero, bizantino, sito lungo il torrente Agrò. Egli concesse la somma necessaria, territori della valle d’Agrò e diritti censuari. Lo schema planimetrico secondo qualche autore servì da modello per la Cappella Palatina di Palermo. L’ingresso con portico tra due torri è tipico dell’architettura normanna. L’epigrafe greca incisa nell’architrave del portale recita: “Fu costruito questo tempio dei santi apostoli Pietro e Paolo da Teostericto catecumeno tauromenita a proprie spese. Si ricordi di lui il Signore. Anno 6680. Il Capomastro Girardo il Franco”. E' l’unica iscrizione sincrona normanna con data di costruzione e nome del costruttore. Come sostengono numerosi studiosi, l’intervento di Gerardo il Franco del 1172 fu un restauro dopo il terribile sisma del 1169 e si limitò al portale principale ed alla porta sud. Restauri su un edificio già compiuto,ideato da un “architetto demiurgo”,più verosimilmente maestranze religiose locali, con matrice culturale marcatamente siciliana, personalissima sintesi di elementi architettonici bizantini,arabi e normanni. Preceduta dall’esonartece serrato tra le torri, la planimetria si articola in tre navate con àbsidi, separate da colonne ed archi a sesto acuto. La cupola maggiore grava su quattro colonne in granito, la minore s’innesta all’intersezione tra il transetto ed il presbiterio. Cupole sorrette e spinte verso l’alto da magnifiche nicchie alveolari pensili di matrice islamica, le muqarnas, disposte in giri sfalsati sempre più protèsi in avanti, che trasformano la pianta quadrangolare in cerchio per innestarvi tamburo e calotta. Gli elementi decorativi esterni sono lesene bizantine connesse alla muratura, che s’intrecciano in archi ciechi di derivazione islamica. Gli effetti coloristici sono ottenuti grazie all’utilizzo di mattoni, pietra arenaria, pietra làvica e pietra di Taormina e gli effetti tattili dalla tessitura muraria a spina di pesce, a coltello, di piatto o a denti di sega. La decorazione policroma è tipica dell’architettura normanna della provincia di Messina ed alcuni autori la attribuiscono ai diversi ordini religiosi: ovvero ai Basiliani che esercitavano il rito greco, tipologia riscontrabile anche nelle chiese di Santa Maria di Mili, San Filippo di Fragalà e Santi Pietro e Paolo di Itàla e costituisce evidente persistenza dell’”Opus Spicatum” delle costruzioni romane della decadenza. La difesa dalle frequenti incursioni arabe medioevali era data dall’aspetto fortificato di “ecclesia munita” con merlature, feritoie e cammini di ronda e l’orientamento verso l’azimuth dell’alba liturgica del martirio di Teodoro d’Amasea, santo protettore dell’esercito bizantino. Il monastero era centro propulsore di cristianità e di cultura. I monaci elevavano inni nel melodioso idioma greco e nel contempo nello scriptorium gli antichi codici venivano studiati e miniati. I copisti siciliani, e verosimilmente anche quelli del monastero dei Santi Pietro e Paolo d’Agrò, erano celebri per l’eleganza delle imitazioni delle grandi iniziali bizantine colorate in carminio. I Basiliani con Croce e aratro, con la preghiera ed il lavoro, insegnarono ai contadini a dissodare i terreni ed a fertilizzarli. Sorsero numerosi mulini ad acqua, sentieri, viadotti e percorsi d’acqua nell’intera valle. La comunità monastica si trasferì definitivamente nel 1794 a Messina “ a causa dell’aria insalubre perché contaminata dall’acqua pestifera del lino”, in un edificio sito in via Primo Settembre. Il monastero e la Basilica divennero proprietà di alcuni privati, tra cui la famiglia Crisafulli di Casalvecchio, che vi fece tumulare la salma del congiunto eroe antiborbonico. Nel 1904 il tempio fu acquistato dal Demanio dello Stato e nel 1909 dichiarato monumento nazionale. Con l’avvento dell’umanesimo si scatenò una caccia ai manoscritti rari e antichi. Il dotto spagnolo Gonzalo Perez, acquisì 35 manoscritti greci posseduti dalle abbazie di Itàla ed Agrò. Di questi, nove provenivano da questo monastero e furono in seguito donati da Filippo II alla Biblioteca dell’Escorial di Madrid. La presenza di tali testi fu documentata per la prima volta dal Cardinale Mercati nel 1930. La biblioteca, perduta nella conquista spagnola, è stata rifondata digitalmente nel 2016 grazie alla sinergia tra Lions Club Letojanni-Valle d’Agrò, Archeoclub Area Ionica Messina, comune di Casalvecchio Siculo e cittadini: i testi sono stati acquistati in formato digitale e potete ammirarli nel totem collocato in una delle àbsidi.