Riguardo alla zona nord-occidentale dell’antico ager Clusinus, tra Pozzuolo e Petrignano, lungo quella che fu per lungo tempo la linea di confine fra Stato Pontificio e Granducato di Toscana, un significato storico specifico va riconosciuto ai terreni presso Laviano, denominati “la Contea”, ai quali ci sembra opportuno dedicare qualche parola.
Oltre che per aver dato i natali a Santa Margherita, l’importanza della località è legata, da una parte agli interessi culturali di Maria Alessandrina Bonaparte, nipote di Napoleone e donna di grande brio intellettuale nella Perugia dei moti risorgimentali, dall’altra al fatto di aver costituito lo scenario delle prime investigazioni archeologiche –in verità scarsamente fruttuose-, di Mauro Faina, imparentato con i Paolozzi di Chiusi (all’epoca affermati cultori di antichità e proprietari di un notevole patrimonio archeologico) e iniziatore della prestigiosa raccolta da cui nacque poi il Museo Claudio Faina di Orvieto.
Della seduzione estetica dei luoghi che attorniavano la residenza della principessa Bonaparte ci danno conto le parole della scrittrice francese Louise Colet che, ospite della tenuta nel giugno 1860, rimase conquistata dalle qualità dell’admirable paesaggio circostante, reso così piacevole dal verde dei campi, dalle acque dei laghi e dai monti (L. Colet, L'Italie des Italiens, 1862, trad. it.).
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La stessa visitatrice, al momento dell’arrivo alla villa, risalendo dal fondovalle verso il poggio, annotava lungo il cammino, a lato della strada, la presenza di alcune fosse regolari aperte fra le radici di querce centenarie, che, secondo quanto le veniva prontamente spiegato, erano cavità di “tombe etrusche”, i cui reperti si potevano vedere nel giardino della residenza; altrove faceva invece cenno curioso ad alcuni bronzetti rinvenuti.
“Ecco Laviano” ci dice il domestico. A sinistra, su un pianoro parallelo, prende forma nell'azzurro del cielo la piccola cappella di Santa Margherita, di cui la principessa ci ha parlato in una lettera. Avanziamo lungo un percorso cavo con andamento serpeggiante, che poi risale gradualmente fino alla sommità, dove si erge la villa. Osservo, a sinistra della strada, dei grandi fori scavati regolarmente sotto alle radici di vecchie querce. “Sono tombe etrusche” mi dice il domestico; vedrete nel giardino della principessa gli oggetti che si sono trovati là”.
(L. Colet, L'Italie des Italiens, 1862, trad. it.).
“Una mattina, dopo avere letto nella Nazione dettagli sulla marcia trionfale di Garibaldi attraverso la Sicilia, andai a sedermi nel grazioso boschetto di acacie raggruppato su una delle pendenze del poggio di Laviano e dove si riparano le piccole tombe etrusche trovate nelle terre vicine. Queste figurine semplici che ricordano la scultura egiziana mi osservavano con i loro occhi rotondi stupiti; sembravano abbagliate dall'intensità della luce e quasi fossero infastidite delle miriadi di farfalle e di insetti che le sfioravano in volo. Mi ero distesa all'ombra sul prato fiorito, mi sentivo perseguitata dall'immagine dell'eroe che era in quel momento la preoccupazione del mondo.”
(L. Colet, L'Italie des Italiens, 1862, trad. it.).
Tra le numerose “sorprese” archeologiche che l’area fra Pozzuolo e Petrignano nel corso del tempo ha riservato a quanti, in modo legittimo o illeggitimo ne hanno frugato la terra, un contesto vicino alla Villa Bonaparte e molto significativo per la relativa completezza di informazioni giunte fino a noi, è la tomba a camera ellenistica della collina del Castellaro, che negli anni ’30 del Novecento venne dal proprietario del terreno Moretti segnalata alla Soprintendenza, istituzione che poi acquisì per il Museo di Firenze l’intero apparato di urne cinerarie di travertino con le suppellettili ceramiche e metalliche componenti gli equipaggiamenti funebri che di consueto accompagnavano le sepolture.