Monastero di San Pietro in Lamosa - Provaglio d'Iseo
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Fondata su un rialzo roccioso che domina le Torbiere, e legata anche nel nome alla natura paludosa del luogo, San Pietro è la più antica delle fondazioni cluniacensi del Sebino, tant’è che nel 2083 il monastero compirà 1000 anni.

Nel 1083, infatti, Teobaldo e Oprando de Tocingo, appartenenti all’aristocrazia lombarda, donarono la chiesa di San Pietro di Provaglio ai monaci benedettini di Cluny, che lì restarono fino al 1476, quando la chiesa assunse funzioni parrocchiali fino al 1800. Negli ultimi due secoli è stato la residenza di una famiglia aristocratica locale.

Restaurato negli ultimi anni del Novecento, il Monastero di San Pietro ha riacquistato l’aspetto originario, con l’abside medioevale, il campanile e la vasta navata centrale, ampliata a metà XVI secolo. Sono stati in parte recuperati gli affreschi che ornavano la chiesa, alcuni dei quali rivelano influenze del Gambara, del Foppa e del Romanino. Le primitive forme romaniche si notano meglio dall’esterno, nelle absidi e nelle finestre strombate. Pregevoli gli affreschi nell’attiguo oratorio di Santa Maria Maddalena, sede dell’omonima disciplina, narranti la vita di Gesù; ben conservata è la cappella barocca sul piazzale antistante la chiesa, che sembra ergersi per incanto dalle Lame retrostanti.

Il complesso monastico, cresciuto nei secoli intorno alla chiesetta originaria eretta intorno all’anno 1000, conserva straordinarie tracce della sua lunga storia.

Le cappelle della navata sinistra sono state costruite in successione nel tempo dal 1100 al 1500, rispettando lo stile architettonico del momento in cui venivano costruite. Troviamo, quindi, il romanico, il gotico e il rinascimentale, con cicli di affreschi di grande suggestione.

Sul lato destro della chiesa si trovano, invece, un organo del 1600 dall’aspetto imponente, che ricorda nelle forme la scuola del Fantoni, e la porta d’accesso al chiostro medievale, luogo simbolo della lunga permanenza dei monaci.

Dal sagrato della chiesa si può godere di una splendida vista sulla Riserva Naturale Regionale delle Torbiere del Sebino, dette “lame”, le paludi che i Cluniacensi si impegnarono a bonificare con l’uso di nuove tecniche agricole, dalle quali il monastero prende il nome.

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