Paradiso, Canto XVI, versi 109-110
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Il Canto XVI del Paradiso costituisce – insieme al XV e al XVII – il secondo momento dedicato all'incontro con l'avo Cacciaguida. Il loro colloquio verte soprattutto sulla decadenza morale di Firenze, di cui vengono messe in luce le cause. In particolare si sottolinea la modestia e l’onestà dei fiorentini di un tempo, mostrando come la città attuale sia cambiata rispetto a quella antica.

Si sostiene che l’arrivo di nuovi abitanti, provenienti da fuori, abbia portato alla perdita degli antichi valori e alla rovina delle antiche famiglie che governavano la città al tempo di Cacciaguida. L’antenato di Dante è conscio del fatto che tutte le cose umane sono destinate ad invecchiare e finire, un destino a cui non può sottrarsi neanche la città di Firenze, con le sue stirpi nobiliari ormai decadute.

In questi versi si fa riferimento in particolare alla casata degli Uberti, la celebre famiglia ghibellina cui appartenne Farinata (cfr. Inferno, canto X) che venne bandita da Firenze dopo la battaglia di Benevento nel 1266. Gli Uberti caddero in disgrazia a causa della loro superbia, in quanto si ribellarono agli Ordinamenti del Comune : pertanto furono esiliati dalla città e i loro edifici distrutti.

Proprio in prossimità delle rovine della loro casa-torre cominciò la costruzione dell’edificio simbolo del potere fiorentino: Palazzo Vecchio, lo stesso luogo dove è stata posizionata questa lastra che ricorda il loro prestigio.

I versi conclusivi di questa stessa terzina fanno invece riferimento alla famiglia Lamberti, di cui è apposta un’altra lapide nella via omonima.

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