Dalla ricostruzione della chiesa distrutta al primo completamento (1631-1665)[modifica | modifica wikitesto]
Distrutta la primigenia parrocchia dalla terribile eruzione del 16/17 dicembre del 1631, l'Università di Portici decise di erigerne una nuova impiantandola su un suolo già in suo possesso denominato lo Petruso.[1]
I lavori, iniziati nella primavera del 1632 sotto la guida dei "capomastri fabbricatori" Francesco Antonio Gisolfo di Napoli e Giovanni Battista Conte di Portici, durarono circa dieci anni, nei quali "si dimostrarono impegnatissimi tutti i cittadini, chi con danari, chi con oro, chi con argento e chi con le loro corporali fatiche." Nell'atto di fondazione i porticesi, per mantenere lo "Jus Patronato", si erano impegnati a spendere trecento Ducati l'anno.[2] Inoltre nel 1636 l'Università di Portici aveva fatto domanda al viceré, e aveva ottenuto il regio assenso, a erigere una dogana per esercitare l'ottenuto diritto di prelazione di una branca di ogni sacco di commestibili ed investirne il ricavato per la costruzione e l'arredo della chiesa.[3]
La nuova chiesa, inaugurata il 9 maggio 1642, era costituita da una navata centrale impostata su pianta rettangolare (i cui vertici sono ancora oggi individuabili nei quattro doppi pilastri) e si sviluppava su tre campate ottenute con due file di pilastri semplici ed archi traversi. Le navate laterali accompagnavano in sottordine questa situazione con una predisposizione a sei cappelle.[4] Per quanto riguarda gli arredi in essa vi fu subito sistemata una bella fonte battesimale, realizzata in marmo fino bianco, sulla quale venne scolpita a basso rilievo, fra fogliame ed uccelli, l'aquila con la sigla Q.P.A.[5]