SITO ARCHEOLOGICO DI SCIFì
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Il sito archeologico di Scifì è inevitabilmente legato alla storia del suo scopritore, l’insegnante Giuseppe Lombardo, appassionato di storia, condusse degli studi che lo portarono a ritenere come l’originaria abbazia dei Santi Pietro e Paolo d’Agrò, costruita nel dodicesimo secolo nel territorio di Casalvecchio Siculo, risalisse al periodo bizantino e si fosse trovata sulla sponda opposta del torrente Agrò, a Scifì, prima di esser stata distrutta da un’alluvione. Egli collocava l’area in una zona vicina all’attuale sito archeologico, denominata Castello. Nel 1987, durante dei lavori in una vigna emerse un tratto di muro, quello sottostante la strada che conduce al cimitero, che insospettì subito Lombardo per la sua particolarità. Tentò invano di convincere il proprietario della vigna a fermare i lavori e la Soprintendenza ad apporre un vincolo. Per evitare che si disperdesse ulteriormente ciò che stava affiorando, acquistò di tasca propria il terreno. Iniziò ulteriori studi, convincendosi che si trattava di un frammento di muro di epoca romana e che proprio lì si sarebbe collocato, successivamente, il monastero dei Santi Pietro e Paolo d’Agrò. Chiese insistentemente scavi e l’intervento della Soprintendenza, senza alcun successo. Pubblicò, sempre a proprie spese, due opuscoli, dal titolo  “Sulla ubicazione del Monumento Monastero dei Santi. Pietro e Paolo d’Agrò”, in cui inserì i suoi studi sul sito. Nel 1994 Archeoclub d’Italia promosse una petizione per avviare una campagna di scavi, che partì grazie ad un breve saggio finanziato dall’amministrazione comunale nel 1995. Il saggio confermò la datazione dei reperti e stimolò successivi scavi, nel 1997 e, l’ultimo, in collaborazione con l’Università, nel 2002. Le indagini eseguite finora hanno consentito di rinvenire  materiali (monete, iscrizioni, strutture, aperture) che ne hanno fissato la datazione. Le docenti dell’Università di Messina, Anna Calderone, Grazia Spagnolo e Valentina Calì, del dipartimento Scienze dell’Antichità, facoltà di Lettere, individuano  “due momenti cronologici di frequentazione dell'area, compresi tra la fine del terzo  e la metà del quinto secolo dopo Cristo. La prima fase è rappresentata da un edificio piuttosto esteso, con almeno sei ambienti, disposti a diverse quote, secondo il naturale pendio del terreno. Il complesso è stato distrutto per cause  forse riconducibili ad un sisma (quello ben noto del 365 dopo Cristo, citato dalle fonti?).  Dopo  breve tempo, l'edificio fu ricostruito e riutilizzato, ed affiancato almeno da un altro fabbricato, o forse da due separati da un ambitus,non sappiamo se collegati in qualche modo al primo, con un orientamento leggermente diverso ed una tecnica muraria meno accurata, strutture in giallo e marrone nella planimetria. Anche le strutture più recenti erano su livelli digradanti e subirono una distruzione probabilmente violenta intorno alla metà del quinto secolo  d.C., e da un lungo periodo di abbandono. Le ipotesi sulla destinazione formulate sono di una villa rustica o un insediamento rurale, oppure una stazione di sosta collocata in un tratto ampio e ben esposto della valle d'Agrò, che nel paesaggio impervio della costa ionica era una fondamentale via di penetrazione verso l'interno e di collegamento con il versante tirrenico.  Si ipotizza che l'edificio fosse dotato di torrette a pianta quadrata, come farebbero pensare la struttura finestrata e quella scoperta negli anni '90 a ridosso del suddetto muro della strada del cimitero. Oltre all'affinità planimetrica, entrambe presentano la copertura a volta e, nella tecnica muraria, un largo uso di laterizi. Gli interrogativi emersi dalle ricerche sul campo sono tanti e assai accattivanti, ma  possono trovare soluzioni soltanto con un proseguimento delle indagini e soprattutto con un ampliamento dello scavo  verso Sud, dove le strutture non sono state intaccate dalla rovinosa frana e, come abbiamo visto, si conservano per altezze davvero eccezionali”.I reperti ceramici provenienti dallo strato di distruzione rinvenuto ai piedi della struttura con finestra, appartengono a ceramica sigillata africana, ceramica africana da cucina, anfore da trasporto di tipo "africana piccola"  tutti databili tra la fine del terzo secolo  e circa la metà del quarto secolo dopo Cristo. Dal medesimo strato proviene anche una moneta bronzeo di Costantino secondo, con al diritto il busto dell'imperatore laureato e corazzato, al rovescio due soldati stanti ai lati di uno stendardo, collocabile tra il 317 e il 337 dopo Cristo.  Rinvenuta anche un’iscrizione in greco su un mattone sovrastante la finestra ad arco.

 

 

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Archeoclub Area Ionica Messina

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