Valli da pesca
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Uno dei più affascinanti sistemi creati dall’uomo in Laguna sono le Valli da pesca. Il loro nome deriva dal latino vallum (muro, argine) e sono degli estesi specchi d’acqua salmastra dotati di argini per l’allevamento del pesce (soprattutto orate, cefali, branzini, anguille), di cui l’uomo ha saputo sfruttare sin dall’antichità la naturale tendenza migratoria incanalandola a proprio vantaggio. Nella zona nord lagunare, vicino alla Litoranea e al Sile, ve ne sono ancora diverse tra cui Valle Doga, Valle Grassabò e Valle Perini. In primavera-estate avviene la montà, la salita dal mare del novellame, attratto dall’abbondanza di cibo e dalla relativa sicurezza delle acque interne; la smontà, la discesa al mare per la riproduzione, si svolge invece nel periodo autunnale. Tra settembre e dicembre il pesce viene convogliato in un canale, il colauro, per finire poi nel lavoriero, la trappola da cui può entrare ma non uscire, dove viene catturato e selezionato. Un sistema di chiaviche regola la salinità e il livello dell’acqua. Oggi molte valli non sono più attive perché l’allevamento del pesce non è abbastanza redditizio.

All’attività della pesca è spesso associata quella della caccia, favorita dalla quantità di uccelli acquatici che nelle valli trovano rifugio e cibo; in alcune aree viene praticata durante il passo migratorio delle anatre. Diffuso in passato anche lo sfalcio della vegetazione delle barene, utilizzata come fieno, e il taglio delle erbe palustri, impiegate nell’artigianato locale. Al centro della valle si trova solitamente la casa padronale, con il tipico camino troncoconico, dove risiede il capovalle. È lui che mantiene e regola questi delicati ambienti artificiali che necessitano di una continua manutenzione e gestione.

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