Via Ettore Vernazza - il Quartiere Perduto di Portoria di Roberta Mazzucco
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Piccun dagghe cianin. Anche io che sono una genovese figlia di genovesi, ma di una generazione che non parla più il dialetto, conosco questa canzone. Andiamo, alzi la mano chi non ne ha mai cantato almeno il ritornello! È una canzone struggente ma non poteva essere altrimenti. Creddeime poche votte ho ciento gente. Gino Pesce, che la scrisse, aveva appena finito di vedere le ruspe ed i picconi demolire le case del quartiere di Portoria per collegare Via XX Settembre a Piazza Corvetto con Via XII Ottobre, migliorare le condizioni del traffico e ampliare la "city" genovese. Le ruspe distrussero così secoli e secoli di storia. Ma il quartiere già da tempo era oggetto di lavori. L’ammodernamento dell’area era iniziato a fine ottocento, quando, per allargare Via Giulia, la “mamma” di Via Venti, erano state abbattute le antiche costruzioni del borgo per costruire edifici più alla moderna, gli stessi che ora affacciano su Via Vernazza e sul Carlo Felice. La guerra, poi, con le sue bombe, aveva dato la scoccata finale.

Ma stiamo parlando di Portoria o di Piccapietra? I due nomi sono sinonimi? NO, assolutamente no.  Per capirlo bisogna partire, da lontano.... dal Barbarossa, dal barbuto Federico, l’Imperatore Germanico che a metà del dodicesimo secolo aveva voluto sfidare la Superba. Beh, come non capirlo, Genova era un porto importante, una signora del Mare. Perciò lui, sceso dal nord, pensò bene che un porto gli avrebbe fatto comodo e minacciò di attaccarla. I genovesi figurarsi. Si, internamente continuavano a litigare, questa piazza è mia questo palazzo pure, ma quando si trattava di un foresto, tutti insieme, facevano squadra, formavano un corpo solo, e combattevano il nemico. E così fecero. Lo dice il Caffaro, attento osservatore della Genova antica e perciò possiamo esserne sicuri. Dice che le mura, iniziate nel 1155, vennero ultimate in soli 53 giorni. Chissà. Ora tutti conoscono le porte gemelle che ancora esistono, "Porta dei Vacca" e "Porta Soprana". Ma ovviamente in un percorso difensivo così articolato, le porte ed i portelli dovevano essere molti di più. Le porte erano in posizioni strategiche, sui colli, come vedette, o sulle vie di accesso alla città. Beh, prima dello sterro, Portoria sorgeva attorno ad un crinale. In realtà il sestriere di Portoria si identifica con una zona molto vasta, che tangeva i suoi confini con i sestrieri della Maddalena e del Molo e a sud con la circonvallazione a mare dove anticamente si trovava il Seno di Gano: un attracco sicuro dove sfociava un rio che approvvigionava le navi di passaggio di acqua dolce, il Rivo Torbido. In pratica andava da Via Roma a Via Madre di Dio, includendo Piazza Dante e la parte alta di Via Venti Settembre. Ma proprio qui, attorno ad una collina ormai perduta, lontana dal porto, allungata ad osservare la piana del Bisagno ed il levante, una potente famiglia aveva i suoi possedimenti. Era la famiglia D’Oria. In effetti, se ci pensiamo, ancora oggi la curia cittadina della famiglia non è poi così lontana. Le nuove mura, le mura medievali, in buona parte avevano incluso queste terre. E proprio qui, in posizione dominante, alla sommità del crinale c’era una porta. Come avrebbe mai potuto chiamarsi una porta che insisteva sui terreni doriani? Porta dei D’oria, appunto. Portoia, in genovese. E poi finì che non soltanto la porta venne chiamata Portoia ma che l’intero borgo finì con l’essere chiamato così, Portoria, semplicemente. Alcuni sostengono che questo nome non sarebbe altro che la traduzione del nome dialettale Porta a-o Ria, al Rivo Torbido, che in effetti passa ancora, interrato, qui vicino. Ma chissà. Comunque la porta, forse per differenziarsi dal nome del sestriere, forse per assonanza o per una storpiatura o per un errore di trascrizione di qualche solerte impiegato, anche perché, si sa, il genovese è difficile da parlare, ma lo è ancora più da scrivere, finì con l’essere chiamata la PORTA AUREA. Che bel nome. E che bella costruzione. Come faccio a saperlo? Beh, l’ho vista. Ma no, purtroppo non dal vivo. L’ho vista nelle foto. Foto non troppo antiche. Sapete, le ruspe, quelle di cui parlava Piccun dagghe cianin, la lasciarono intatta quasi fino alla fine. La si vede solitaria, in mezzo ai cumuli di macerie. Certo. Non aveva la possanza delle sue sorelle ma come esse aveva il suo bell’arco gotico e una madonna che sorrideva a chi entrava in città. Nelle foto non si vedono le torri che forse erano già state inglobate nei palazzi, nel quartiere la gente era tanta e da sempre c’era la necessità di spazi e di appartamenti, ma era ancora lì, nel pianoro, a vegliare sulla città. 

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