Vita di Bona Sforza
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Bona nacque il 2 febbraio del 1494 a Vigevano, nell’odierna provincia di Pavia, da Gian Galeazzo Sforza, duca di Milano, e da Isabella d’Aragona. Di lì a poco, Gian Galeazzo, padre di Bona, morì a soli 25 anni lasciando orfani Bona, Francesco, Ippolita e Bianca Maria. Gian Galeazzo morì, probabilmente, per volere dello zio, Ludovico il Moro, che divenne ufficialmente Duca di Milano. A Isabella venne concesso il lontano Ducato di Bari. Alla prematura dipartita di Gian Galeazzo si aggiunse, poi, la morte delle figlie Bianca Maria e Ippolita e la separazione dal figlio Francesco, che fu forzosamente portato via dal re di Francia, con l’intento di impossessarsi del Ducato di Milano.

Fu così che Bona lasciò la corte milanese per trasferirsi con la madre prima a Napoli, nel 1500, e poi nel ducato di Bari dove si insediò, nel 1501, a sette anni.

Il Castello di Bari divenne presto non solo luogo di governo ma anche sede delle arti. Grazie alla duchessa Isabella nacque l’Accademia degli Incogniti, della quale facevano parte letterati, poeti pittori, che resero la corte barese un vivaio di grande cultura su modello dell’Accademia Pontaniana, nella corte di Napoli, da cui provenivano i numerosi accademici chiamati ad operare nel ducato barese. La cultura umanistica poneva la sua attenzione sull’educazione dei giovani rampolli di entrambi i sessi senza trascurare nessuna sfera della conoscenza umana.

Isabella tenne in grande considerazione gli insegnanti ed i pubblici precettori che venivano lautamente retribuiti, esentati dal pagamento dei dazi e forniti di alloggio gratuito nonché di servitù. Fu così che Isabella volle per la figlia Bona un’educazione a tutto tondo: dalla letteratura alla musica alla religione. All’inizio fu la madre a curarne l’educazione, insegnandole la lingua spagnola, per poi garantirle i più eruditi maestri del tempo: Crisostomo Colonna, Antonio de Ferraris, detto il Galateo, e il cappellano Giacomo Buongiovanni.

Alla corte barese, costituita sia da milanesi che da baresi, si affiancò al culto di San Nicola quello di Sant’Ambrogio e, libera da ogni pregiudizio, per volere della stessa Isabella, vennero favoriti i matrimoni tra milanesi e baresi cui, spesso, presenziava la stessa Isabella. L’iscrizione in latino posta al di sopra del portale d’ingresso alla chiesa di Sant’Anna ricorda quando il tempio, gestito dai nobili lombardi giunti al seguito di Isabella d’Aragona e Bona Sforza, prese il nome di Sant’Ambrogio, patrono di Milano.

Il 6 dicembre 1517, le nozze tra Bona Sforza, duchessa di Bari, e Sigismondo I Jagellone, re di Polonia, celebrate per procura a Napoli, a Castel Capuano, coronarono l’infaticabile attività diplomatica di Isabella. Nella primavera del 1518 Bona intraprese un lungo viaggio, per mare e per terra, verso il suo sposo. Fu così che Bona per oltre 30 anni, la scena politica del regno jagellonico favorendo il rinnovamento in senso rinascimentale della cultura polacca.

Già regina della Polonia, Bona si occupò attivamente, dalla lontana Cracovia, dei domini in Italia meridionale. Nel 1524, alla morte della madre Isabella, Bona ereditò il ducato di Bari e i feudi calabresi del principato di Rossano, della Contea di Borrello, Rosarno e Longobucco. Fu così che Bona, come duchessa di Bari, riprese l’intenso programma di opere pubbliche avviato dalla madre, promuovendo la costruzione di fortificazioni, cisterne, fontane, palazzi pubblici di gusto rinascimentale nonché le ristrutturazioni di numerose chiese.

Nel 1556, il conflitto ormai insanabile con figlio Sigismondo Augusto, indusse Bona, vedova di Sigismondo I, a stabilirsi a Bari dove si spegne in una sala del Castello alle 3 di notte del 19 novembre 1557. Colei che, in Polonia, fu più volte accusata di avvelenamenti morì essa stessa avvelenata.

Alla morte di Bona Sforza, si aprì una lotta alla successione nel Ducato di Bari tra il re Filippo II, intento a eliminare o indebolire i potenti feudatari che potevano far ombra all’autorità regia, e Sigismondo II di Polonia, erede diretto di Bona. Il contenzioso fu risolto sul finire del 1561 dall’arbitrato dell’imperatore Ferdinando che riconobbe i feudi a Filippo II e i beni burgensatici a Sigismondo Augusto che doveva ricevere anche i 430 mila ducati prestati da Bona a Filippo II. Nel 1569 Sigismondo Augusto volle riaprire la questione dei feudi che, tuttavia, nel 1572 si chiuse definitivamente con la sua morte mentre rimase aperta ancora per lungo tempo la questione dei beni burgensatici e del prestito a Filippo II.

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